C’è un posto al mondo, uno più degli altri, in cui siamo certi ritorneremo, almeno fin tanto le gambe ce la faranno a portarci; e sempre, quando siamo lì, ogni volta che si riparte ci
riproponiamo la stessa promessa: torneremo presto. E’ il lago di Pilato.
Gli eventi sismici di due anni fa ce lo hanno tenuto forzatamente fuori dai radar, con i divieti che sono caduti e con la stagione che stava ripiegando al bello è tornato a bussare
prepotente il richiamo del lago; era ora di “tornare a casa”. Nutrivamo anche la speranza che le nevi avessero anche solo parzialmente lasciato libero il catino del lago e che fosse
possibile godere del colore delle sue acque, nulla più poteva tenerci. Lo scorso anno a fine stagione il lago era completamente secco, in tanti abbiamo temuto per la sua sopravvivenza e
quella del gamberetto che ha casa lì. Quella scorsa è stata una stagione particolarmente calda, siccitosa e lunga ma più che per questo motivo abbiamo temuto che lo svuotamento del lago
fosse dovuta ad una sorta di “rottura” dello fondo detritico del catino. Vista la violenza del sisma e visto che il lago si trova di fatto proprio sulla faglia principale, il rischio c’era
e sapevamo tutti che questo poteva significare la sua fine definitiva oppure, come tante volte accade in altri siti, lo stato effimero della sua esistenza. Dal momento quindi che tutti,
chi più chi meno, ci si domanda se il lago di Pilato esiste ancora, andare a vedere come stavano le cose era un motivo in più per tornarci. Marina stava suggerendo da tempo questa escursione;
il mio contributo è stato solo quello di proporre un tragitto diverso, di non salire da Foce, per il consueto sentiero di fondo valle e per le Svolte, ma di arrivarci da Castelluccio,
attraverso Forca Viola; lei che ha avuto la fortuna di percorrere i Sibillini in lungo e in largo con i migliori conoscitori di questi monti, non conosceva la seconda parte del sentiero,
da Forca Viola al lago per intenderci; non solo, il pomeriggio di sabato ci chiama Giulia, aveva voglia di camminare, nemmeno lei era mai arrivata al lago da quel sentiero, non mi sono dovuto
impegnare troppo per convincerle.
Come sempre e più di prima, Il piacere di ritornare sui Sibillini è immenso; potrebbe essere più grande se non venisse lacerato drammaticamente durante quei passaggi forzati attraverso Arquata,
Piedilama e Pretare in cui ricordi, emozioni e piaceri di un tempo si accavallano e ti ammutoliscono.
Superata la sella di Forca di Presta, Castelluccio sbuca dall’immancabile coltre di nebbia che nelle prime ore della mattina ristagna nella piana, da lontano il profilo sembra quello di sempre,
sappiamo che è una illusione. A nessuno dei tre viene in mente di salire per curiosare, me ne accorgo ora che raccolgo i ricordi di quella giornata, non abbiamo nemmeno sfiorato l’ipotesi di farlo,
entriamo nella stradina sterrata che entra tra i campi a destra del primo tornante che sale al paese, parcheggiamo un chilometro oltre, davanti delle nuove tensostrutture.
Ne è passato di tempo, ma i posti cari non si dimenticano mai, saliamo a memoria sulla carrareccia verso capanna Ghezzi, che tra tonde alture e radure raggiungiamo nel giro di mezz’ora; il rifugio,
nella sua posizione fantastica, ora carica di un verde nuovo quasi sfacciato, è in piedi ma è palesemente danneggiato, le crepe ci sono anche se non vistose, molto peggio se si guarda dentro,
dall’unica finestra rimasta con le imposte aperte. Inagibile. Superando la radura sulla destra del rifugio si raggiunge il breve traverso che obliqua fino alla Pianacce, una radura pianeggiante
affacciata sul Piano Grande. Ancora pochi minuti in falso piano, raggiungiamo le paline che distinguono il punto di incrocio dei sentieri, davanti per Sasso Borghese a destra per Forca Viola.
Prendiamo il secondo, in leggera pendenza si affaccia costantemente sulla piana di Castelluccio e senza impennate raggiunge la sella dopo un’ora e trenta minuti dalla partenza.
L’affaccio da Forca Viola è potente, si inabissa dentro la valle della Gardosa che si percepisce appena e si arrampica sul muro verde delle pareti del Banditello e di Sasso D’Andrè, a sinistra
la dorsale ripida dell’Argentella è contraddistinta da uno scoglio roccioso; linee verticali che accompagnano lo sguardo verso un piccolo lembo di campagna marchigiana e da li fino al mare, che
si scorge appena dove le dorsali si interrompono per dare vita alla valle di Foce. Per prendere il sentiero, che vediamo più a valle tagliare il versante verso destra, dobbiamo aggirare un piccolo
nevaio che risale la comba della sella, la neve è ancora compatta, senza ramponi potrebbe essere rischioso approcciarlo vista la pendenza accentuata. L’aggiriamo sulla sinistra e seguendo il suo
profilo esterno scendiamo dentro il canale, molto ripido e friabile.
Raggiunta la strettoia del canale, è intuitivo e lo si vede in lontananza, il sentiero prende a traversare oltre la lingua di un ulteriore nevaio che ci sbarra la strada e che scende lungo la
larga dorsale di Pizzo Viola, è ancora ben innevata, uno strato compatto, molto ripido e largo; aggirarlo in basso significherebbe scendere di un centinaio di metri per poi risalirli tutti, mi
armo di santa pazienza e mi incarico di battere una traccia e di creare degli appoggi per Marina e Giulia che pazientemente aspettano il mio attraversamento.
Due palle che non ti dico prendere a calci la neve compatta per assicurarsi un passaggio sicuro, superata la dorsale che mi impediva di vedere oltre mi aspettavano ancora un’altra quarantina di
metri, di traverso e in leggera discesa, quando arrivo fuori sono fuso. Il sentiero scorre quasi in piano fino alla successiva dorsale che forma un balcone incantevole, l’orizzonte viene formato
dalla Sibilla che chiude la stretta valle, dal versante roccioso dell’Argentella a sinistra, non avevo mai fatto caso a quanto fosse ripido il versante Est di questa montagna, e dai meno ripidi
fianchi del Banditello a destra, Foce lì in fondo, nella bella ed esigua piana, un piccolo scrigno di case, capitale di questo incastrato angolo di Sibillini.
Il balcone dove ci troviamo e che gode di una prospettiva davvero unica della valle della Gardosa, fa parte dello spigolo che scende verso le svolte a formare quel canyon scomposto e verticale che
tutti conosciamo, la verticalità del versante da sotto non si percepisce, pratoni scoscesi misti ad affioramenti rocciosi precipitano verticali fino a perdersi in un salto oltre il quale le Svolte
sono solo intuibili. Aggirata questa dorsale si apre davanti l’ampia valle del lago, ampi tratti sono ormai liberi, ma la sensazione che si ricava al primo colpo d’occhio è la quantità di neve
ancora presente, temiamo di non poter vedere il lago libero; il sentiero che scivola senza grossi cambi di pendenze quando non è coperto da detriti è costantemente solcato da più o meno sottili
ma profonde crepe, come se la parte a valle del sentiero se ne stesse scendendo giù, in alcuni tratti si nota anche un discreto dislivello che arriva fino ai 10 centimetri di altezza, impossibile
non pensare allo scuotimento che questi versanti devono aver subito. Dove il sentiero scorre nei tanti ghiaioni che scendono dall’alto è invece più scomposto, non è affatto battuto come lo conoscevo,
ogni tanto non esiste più, come se i detriti fossero scivolati a valle e tutto abbia riassunto le forme primordiali della montagna. A guardar bene sugli speroni a monte si notano delle zone di
roccia più chiara, senza i segni del tempo, certamente distacchi improvvisi di alcuni grossi fazzoletti di roccia; seguendo la loro verticale verso valle, di detriti più chiari è disseminato il
versante, anche qualche bel monolite sparso qua e là, tutto parla del trambusto che deve essere successo da queste parti durante il sisma. Anche sullo Scoglio del Lago, o Pizzo del Diavolo che nel
frattempo abbiamo avvicinato, mancano belle “fette” di roccia, che disastro, ma anche che fascino, la terra è viva e si modifica continuamente, e in molti casi è anche un libro aperto che purtroppo
non sappiamo leggere!!
Alti sulla valle ma quasi sempre in piano il sentiero ha superato svariate lingue di neve, alcune erano ciò che restava di vecchie slavine, superarle è stato facile, ci hanno solo rallentato
l’andatura. La valle si chiude la davanti, dove lo “Scoglio” del Pizzo del Diavolo la restringe decisamente, oltre gli ultimi dossi sappiamo esserci il lago; in basso, nel mezzo, ci accorgiamo
che salgono lentamente svariati gruppi di escursionisti, sono minuscoli, davvero dimensione delle formiche, ci rendiamo conto di quanto siano grandi le dimensioni di queste valle e delle montagne
intorno e di come nella nostra memoria questo posto familiare assuma invece il valore di una grande stanza dove riponiamo i nostri giochi. Ormai non ci concediamo più soste, il lago si avvicina e
con lui la mia frenesia di rivederlo, non mollo più l’andatura, Giulia dietro e Marina la segue, scavalco l’ultimo tondo dosso ancora parzialmente coperto da neve, sono combattuto tra lo sperone
strapiombante del Pizzo del Lago, sempre catalizzante quando ci arrivi sotto e la voglia di vedere la conca del lago, sfioro la cima del dosso che diventa un tutt’uno con l’ampia sella; mi accorgo
di alzarmi involontariamente sulle punte dei piedi alla ricerca del lago, poi arrivo dove la sella prende a scendere a formare la conca, è tutto confuso, noto prima solo una continua spianata
bianca di neve marcia che scende il versante opposto, non si interrompe e precipita dentro la conca, quando perdo la speranza di trovare acqua e mi rassegno alla sola presenza di neve e ghiaccio
supero l’orlo della sella, il pendio prende a scendere ripido verso il fondo valle e una lunga striscia che definire blu è sbagliato e verde pure mi si para davanti; toccava pensare a tutte le
tonalità tra questi due colori per poter minimamente descrivere questo impatto ipnotizzante. Il lago è quasi totalmente coperto di neve, “l’occhiale” a Sud, quello più piccolo, è praticamente
invisibile, si intuisce la sua presenza dalla piatta coltre ghiacciata che lo ricopre e quasi non c’è segno di acqua; “l’occhiale” a Nord invece per un paio di metri quasi tutto intorno la sua
circonferenza è libero dalla neve, in particolare la sua sponda Ovest, il fondo detritico degrada dolcemente e restituisce cromie che incantano. L’acqua c’è, eccome se c’è, una bassa coltre di
neve marcia ricopre quasi totalmente la parte centrale dello specchio d’acqua ma è di spessore minimo, intorno i toni del blu e del verde si spengono via via che il fondo si “inabissa”. Difficile
dire se la portata del lago fosse più o meno cospicua di qualche anno fa, importante era che l’acqua era lì, bella e tanta! Se ne erano dette tante lo scorso anno che si era prosciugato
completamente, l’estate particolarmente calda e siccitosa, il terremoto che aveva in qualche maniera poteva aver aperto delle falle sul catino detritico che lo sorregge, forse, anzi
sicuramente è ancora un po’ presto per gridare vittoria ma l’alveo tiene, l’acqua c’è, l’estate che verrà ed il tempo che passa ci rincuorerà, speriamo, definitivamente.
Di certo ho notato un istmo tra i due “occhiali” molto alto e molto largo, ma è risaputo che i detriti sono in continuo movimento e che calano dai fianchi delle montagne, le “sgrullate”
possenti degli ultimi anni possono aver accentuato lo spessore, insomma … calma e gesso il lago c’è ed è vivo e come tutte le montagne intorno è in continua evoluzione. Del Chirocefalo
non c’è traccia, ma è inutile temere per lui che ha grandi doti conservative, molto semplicemente penso e credo che le uova non si siano ancora aperte. Ci mettiamo sui pratoni al limite
dei ghiaioni, alle spalle lo Scoglio del Lago ci sovrasta, sotto quella lingua dalle tonalità intense ci ammalia, fa niente il grigio che nel frattempo ha coperto il cielo e la temperatura
che è scesa, eravamo dove batteva il cuore, a casa e non avevamo fretta di andar via.
Verso la Sibilla, dietro il Banditello, il grigio che si stava accumulando stava prendendo delle tonalità più vicine al nero, grossi cumuli si addensavano sormontandosi minacciosi, anche
la luce si attenuava, insomma il cielo ci stava parlando, il rientro non era breve, forse per cercare di evitare un acquazzone avremmo dovuto muoverci in fretta. Così abbiamo fatto. Sono
stato il primo ad arrivare e ci si poteva scommettere, l’ultimo a staccarmi dal lago, fino all’ultimo istante l’ho cercato e l’ho lasciato con la solita promessa di ritornare presto; senza
correre abbiamo ripercorso le stesse tracce dell’andata, le lingue di neve si son fatte superare velocemente, le tracce le avevamo battute la mattina e aiutavano molto, quei traversi in
salita che apparivano da lontano lunghi e pendenti li abbiamo oltrepassati senza accorgercene; la valle del lago, soprattutto in alto si stava addensando di grossi nuvoloni, il paesaggio era
mutato radicalmente. Superiamo con qualche fatica in più anche la dorsale ghiacciata prima del canale che sale a Forca Viola, a nulla sono servite le tracce della mattina, ho dovuto
praticamente riprendere di nuovo a calci la montagna; decisamente ripida la scarpata del canale successivo che aggira il nevaio fino alla sella, un sollievo arrivare a Forca Viola e prendere
a scendere dalla parte opposta.
Oltre la sella il vento si è placato, la dorsale dell’Argentella faceva il suo dovere, le nuvole sono sparite, il sole ha ricominciato a picchiare e il caldo ad insistere, quei minacciosi
cumuli li abbiamo lasciati dentro la valle senza prenderci una sola goccia d’acqua.
In un’ora ed un quarto ripercorriamo il sentiero a ritroso, tutta discesa siamo stati velocissimi, arrivati alla macchina di nuovo a nessuno è venuta in mente l’idea di andare a curiosare
nel paese, è decisamente ancora troppo il dolore ed evidentemente non siamo pronti. Lo eravamo invece per pranzare, e abbiamo provato al Rifugio degli Alpini, il nuovo Rifugio degli Alpini,
voluto da Gino nell’area delle casette di Pretare, il vecchio a Forca di Presta è inagibile.
Rifugio si fa per dire, il dramma continua per tanti, un prefabbricato minimo, una elemosina per Gino e per la sua forza di voler continuare la sua missione, di più non gli è stato concesso;
non solo, lo troviamo ancora chiuso, delle signore nei pressi ci rassicurano che l’apertura è davvero prossima.
La volete sapere tutta? E’ chiuso perché le ditte che fanno i lavori si sono sbagliati a disporre l’impianto del gas, non ricordo se metano o GPL; hanno disposto l’impianto, l’infrastruttura
sbagliata per il tipo di utenza, tutto da rifare, e Gino è ancora lì ad attendere. Una tristezza. uno dei tanti segnali dello sfascio del nostro paese e dello sfacelo della burocrazia che impera;
altro che “vi siamo vicini” come tutti i TG hanno sbandierato per 2 anni. Forza Gino, forza gente dei Sibillini, noi continueremo a tornare e a camminare sulle vostre montagne e ad aiutarvi con
tanta passione e quel poco di sostegno concreto che possiamo darvi.